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venerdì 3 agosto 2012

Il titolo non mi viene


Bianca è il nome della pagina che ho di fronte. Bianca è anche il nome di mia cugina. Che cosa succede nel mondo? Le cose di sempre. Stessi discorsi e stesse facce. Bisogna che smetta di fumare. Questo continuo mal di schiena credo sia dovuto a questa scrivania e alle sigarette. Magari sono le decine di cassette di frutta che scarico ogni mattina. Ma non voglio star qui a lamentarmi, è da effeminati. Salta annuncio.
Ieri sera sono andato a bere qualcosa con la mia ragazza ed un mio amico. A cena, ero a casa di mio padre. Guai a chiamarlo padre, s'incazza. Preferisce essere chiamato babbo. Ero a cena da mio babbo. Si festeggiava il mio compleanno. Ventiquattro.
Abbiamo preso un altro cane. Una sola bega, non ci bastava. Ha quattro mesi e si chiama Oliver. Sul nome c'è stato da discutere perché io volevo chiamarlo Leopold in onore del vecchio Bloom, ma come sempre ha vinto la mia ragazza. Pesa già 16 kg. Con Tea, il Jack Russell, vanno d'accordo. Per ora comanda lei. Il povero pastore tedesco Oliver, è stato sottomesso. Stasera siamo andati a portarli fuori, lungo il fiume. Dopo che ieri mattina ho preso la multa per averli sciolti, li tengo sempre legati. A cena, con la mia ragazza, abbiamo discusso. Sarà che il caldo mi dà noia. Stanchezza mista a nervosismo. È che mi sono rotto di fare tutto io. La mattina, da ormai venti giorni, giorno in cui abbiamo preso il nuovo cane, sono io che raccatto la merda ed asciugo il piscio da terra. Uso la varechina e mi dà noia alla testa. Mi tocca stare tutto il giorno con la nausea e gli occhi rossi. La cosa che mi fa incazzare, è che è stata lei a volere un altro cane, dunque pensavo che se ne assumesse tutte le relative responsabilità. Col cazzo. Mi tocca portarlo fuori sempre a me e, a due guinzagli, devo ancora abituarmi. Stamani non sono andato a lavorare, tra un mese avrò un esame ed ho bisogno di tempo per studiare. Ringrazio mio padre per aver compreso le mie necessità. Il nostro rapporto è migliorato. Patrizia aveva ragione in toto. Storia lunga, un giorno vi parlerò anche di lei e di suo marito. Quindi, a cena, abbiamo discusso e poi siamo andati fuori coi cani. Forse volevo soltanto avere delle attenzioni da lei. Mi considera poco. È tutta presa dal suo negozio, lavora tutto il giorno e la sera è sempre stanca. Da un anno s'è messa in proprio e ne risento. Sono contento per lei, davvero, è una cosa che sognava da tanto. Quando faceva ancora l'apprendista e prendeva una miseria al mese, aveva più tempo per me e per la casa. Forse, non mi ama più. Parliamo con difficoltà, facciamo di rado l'amore. Litighiamo spesso. Io la amo. Ma anche su questo c'è stata una discussione tremenda. Le ho chiesto cosa fosse per lei l'amore ed è successo il pandemonio. Cos'è per voi l'amore? Credo sia una cosa soggettiva. Non credo si possa dare una definizione universale di amore. Credo che ognuno abbia il suo modo di amare. A modo mio, amo. Mica che abbia un modo particolare, è solo il mio. Devo inventarmi qualcosa.
Il mio amico M, peggiora giorno dopo giorno. Ha smesso di prendere le sue pillole ed è nuovamente nel baratro. Ci soffro tremendamente. Oggi pomeriggio è venuta sua madre in negozio da me, piangeva. Deve essere dura vedere un figlio in quelle condizioni. È dura, lo dice lei. Ci siamo abbracciati. Come si fa? La vita è anche questo. Proprio ieri sera, mio fratello di cinque anni, mi diceva che la vita è dura e bella. Sua madre, che non è la mia, mio padre s'è infatti sposato nuovamente dopo il divorzio con mia madre, ed ha appunto avuto un altro figlio, fa bene ad insegnarglielo fin da piccolo. Se a me, da piccolo, è stato detto, non lo ricordo. Ora posso dirlo con quel briciolo di esperienza accumulata in questi anni. La vita, è come dice mio fratello. Parole semplici ed efficaci. Oliver sta dormendo sotto la scrivania. Gli voglio bene e mi fa un po' di compassione perché ha solo un testicolo. Ogni tanto, lo chiamo Mono ma non si gira, forse capisce che lo prendo per il culo. Per la nuova casa in campagna, è perfetto. Per questo monolocale è inappropriato. Due cani, un gatto e due persone, in una stanza di 30 mq, sono sacrificati. Che poi, ci si adatta a tutto, era solo per fare una considerazione. Salta annuncio. Odio la pubblicità su YouTube. Mi sono lamentato senza accorgermene, l'ho visto adesso mentre rileggevo, forse sono effeminato. Il mio lato omosessuale, emerge nella scrittura. In questi giorni, ho pensato anche al mio rapporto con lo scrivere. È una cosa che mi sento di fare, una cosa che mi fa stare bene. Tuttavia, provo ancora un certo imbarazzo. Mi nascondo ancora dietro un falso nome. Forse la mia ragazza ha un altro. C'è un tizio che le fa il filo, va in negozio da lei con delle scuse banali, una volta le ha mandato anche dei fiori. Lei è davvero bella, ha degli occhi verdi che non sto qui a descrivere perché non sono capace di descrivere le cose belle. Ha la pelle olivastra ed i capelli castani. È alta un po' meno di me che sono 1.80. Un altro non ce l'ha, non c'è verso. Se così fosse, li uccido tutti e due. L’amore è un bellissimo fiore sull’orlo di un spaventoso precipizio. Parole di Stendhal. Forse c'è ancora l'assoluzione per il delitto passionale. Ma no, un altro non ce l'ha. Domani vado da quel tizio e ci parlo, chiarisco le cose. So dove lavora. Se lei perde un cliente, pace. Non voglio perdere lei.
Sono le una di notte e tutto va bene, come dicevano in quel cartone animato che piaceva tanto a mio fratello quando eravamo piccoli. Mi tolgo le cuffie. Il ventilatore fa un rumore strano. Anche per stasera ha fatto il suo lavoro, ha dato il massimo, è proprio l'aria che è densa. Per la storia del fegato ho smesso di bere alcolici. Ho finito una boccia d'acqua in un'ora. Per stasera basta scrivere. Mi affaccio alla finestra, la luna è piena ed illumina tutto. Magnifica. Splendente, bianca più di quanto lo era questa pagina un'ora fa.

sabato 31 marzo 2012

"Il sasso nello stagno."

Ecco cosa vuol dire essere uno scrittore.
È essere sempre angosciati, tormentati, infastiditi da se stessi.
Significa avere coraggio, combattere senza un vero nemico, estraniarsi e provare a descrivere un mondo in continua evoluzione che non aspetta nessuno, che viaggia come un missile verso una meta sconosciuta, straniera.
Scrivere, è come essere malati.
È una patologia dell'anima.
È dondolare tra realtà e follia.
Se qualcuno mi domanda per quale motivo scrivo, rispondo sempre che non lo so.
Si potrebbe passare tutto il pomeriggio a vaneggiare sui vari perché.
Forse è essere affamati di sé, avere una continua voglia di conoscersi, cercare in qualche modo di manifestare la propria essenza e di imprimerla su di un foglio per non farla sembrare il nulla che spesso appare.
Credo che tutti gli scrittori siano dei saccenti, malinconici saccenti.
Anche egocentrici.
Io, spesso, mi resto sui coglioni.
Ma forse non sono uno scrittore.
Ho cominciato descrivendo la natura.
Il nascere di una foglia, i prati ghiacciati, il fieno ingiallito, un fiore che sboccia.
Poi, da una qualsiasi situazione nasce una storia. Se vai dal benzinaio, al supermercato, a spasso col cane, a mangiarti un panino, a bere una birra, dal dentista, o dove cazzo vuoi andare, ti si sovrappongono migliaia di dimensioni e crei un altro mondo dentro al mondo.
Essere uno scrittore significa vivere di parole, di quelle che non esistono e te le inventi, di quelle che ormai sanno di vecchio, di quelle lunghe ed affascinanti e di quelle corte ed incisive.
Stop, super, sovramagnificentissimamente, precipitevolissimevolmente.
Uno scrittore vede un fiume e gli sembra il Gange, vede un monte e gli sembra l'Everest o il Kilimangiaro.
Uno scrittore si innamora di tutte le donne che inventa e patisce perché non può farci sesso, perché non esistono, perché sono solamente nella sua testa e fatica ad accettarlo.
Uno scrittore ha sempre la febbre e vive delirando, vive la sua vita con persone che non esistono.
Uno scrittore è forse solo un pazzo, che come un sasso piatto lanciato in uno stagno saltella per un po' e poi se ne va a fondo, affonda per il suo peso, perché è così che vuole la sua natura.
È un condannato che non ha commesso alcun reato, tranne quello, un giorno, di essersi messo una penna in mano e di aver scarabocchiato un foglio che, silenzioso, chiedeva solo inchiostro.

Astronauta.

giovedì 19 gennaio 2012

"Piuma"

Sai amico mio, quella bastarda è arrivata così all'improvviso.
Ricordo bene il tuo viso da giovincello sbarbato, i tuoi occhi più profondi dell'universo, i tuoi discorsi che volutamente si estraniavano da ogni contesto, ricordo ogni tuo gesto, i nostri sguardi d'intesa, ogni tua pretesa, il modo in cui camminavi trascinandoti dietro un corpo sempre stanco e l'espressione d'abbandono quando mi dicesti quel che mi dicesti.
Sono stato con te sulla collina e ci siamo abbracciati fino a farci male, poi siamo scesi insieme là dove il mare è cosi profondo che sembra sempre notte ed abbiamo assaporato entrambi l'agrodolce sapore del sangue e delle botte.
Il caldo, il freddo, la gioia, la frustrazione, la musica veloce e quella lenta, il pane, la polenta, i fusilli al tonno, la pizza con le acciughe, la marijuana, la birra, il rum rubato al supermercato, sfidarsi a chi faceva fare più salti al sasso piatto raccolto sull'argine destro di un fiume che un tempo era pulito ma che adesso non è più lo stesso e non c'è più un sasso come si deve.
Chissà se hai trovato quel demonio di Ray Charles e stai cantando con lui “Hit the road Jack!”, prova a cercarlo in un posto che somigli alla Georgia, quello ce l'ha sempre in mente.
Sono sicuro che hai trovato Moana Pozzi e le stai facendo la posta, che hai mandato una lettera a Galileo ma non hai ricevuto risposta. Perché sì, io voglio immaginarvi tutti insieme un un crogiolo di pensieri e parole, ognuno a dire quello che pensa, tutti insieme sì, in un posto senza tempo, dove ognuno può fare quel che gli pare e si può bere anche l'acqua del mare.
Tre anni, due mesi, quattro giorni e le ore non le so, sei partito per un posto in cui prima o poi arriveremo tutti, siamo piume che lentamente cadono a terra prima di aver fluttuato qua e là per un po' e tu sei stato sfortunato e forse per il tuo peso, per il caso, per una qualche cazzo di corrente sbagliata, sei arrivato a terra con una rapidità straziante, lacerante, assordante,rimbombante.
Forse dovevano spiegarti che non era una gara, che non vince chi arriva per primo, ma lo dico semplicemente e stupidamente perché voglio illudermi d'essere un giocatore astuto.
Non escludo la metempsicosi e chissà se adesso sei un fiore o una rana, o un tasso nella sua tana, il gatto che fa le fusa su un divano maculato o se sei un seme appena piantato, se il mondo delle idee lo hai osservato e sei pronto per ricordarlo bene ed essere saggio nella tua nuova vita da uomo.
Io mi sento lo stesso di sempre ma i capelli me li sono tagliati e mi sono anche fidanzato. Sono la solita montagna di pensieri e domande, come al solito, di storie e vizi, di nausee e mal di testa.
A proposito, non sono più tornato a pesca ma prima o poi lo farò, te lo prometto.
Una lampadina punta il foglio su cui adesso sto scrivendo, la birra è finita e la sigaretta si spegne tra le mie dita, tu non ci sei e sei dove ti pare, a correre in un prato, a mangiarti un gelato affacciato ad una finestra, a scambiarti qualche carezza, a scrivere poesie, a creare armonie o a disegnar libellule argentate con cento penne piumate.
Vado cercando la felicità dappertutto, e stasera il tuo pensiero m'è bastante, anche se come un venditore ambulante son costretto a cambiar città ogni giorno per paura che quella bastarda mi porti da te.
Quella arriva all'improvviso amico mio, è una vera bastarda e tu lo sai bene.

mercoledì 11 gennaio 2012

"Dopodomani"

Ci sono alcuni momenti, certe giornate, certi frammenti di vita, in cui vorrei essere uno dei tanti e mescolarmi ai loro pianti.
Certamente siamo in molti, a volte mi illudo di essere solo e diverso solamente per giustificare il mio dolore e non affrontarlo veramente fino in fondo.
Sono un codardo, come gli struzzi nascondo la testa sotto la sabbia, come un qualche animale esotico corro a nascondermi nella foresta ed aspetto che sia finita la tempesta per poi far capolino ed osservare un paesaggio che giustamente resta identico a se stesso nonostante tutto.
Il problema, la causa di tutto, l'ho proprio davanti al pari di questo schermo cosparso da lettere bianche.
Un paio di volte ci ho provato a risolverlo, forse quattro o magari solo tre.
Vorrei smettere di martoriarmi la testa alla ricerca di qualche antidoto che abbia la potenza di districare questo groviglio pieno di pruni che graffiano le mie mani e le riempiono di un vermiglio sangue che poi tocca terra formando una pozza, manifestando così la sua vittoria e la mia ennesima sconfitta senza troppa lotta.
Bacche velenose, stelle che tentano l'incesto, lacrime di un sapore che non è sale, continua ricerca del divino, tanto vino ed anche quello m'illude e mi confonde rendendomi stupido e vanitoso come una qualsiasi mediocre attrice di fotoromanzi americani ormai fuori moda.
In certi giorni mi sento proprio un re, il sovrano di un territorio sconosciuto ed illimitato dove anche il più audace degli esploratori si sentirebbe arreso, non c'è una cartina alla quale appoggiarsi, una bussola capace di indicare un qualsiasi punto cardinale, una qualsiasi popolazione da studiare per capirne i miti od i riti ed estrapolare informazioni relative ad un territorio che forse non è né nuovo né vecchio, che forse è montuoso o magari è pianeggiante, che forse non esiste ed è solo nella mia guasta testa da ventitreenne sconsolato.
In giorni come questo la vita mi sembra la sabbia cocente di un deserto, io sono scalzo, perduto, ammalato, bruciato, con le vesciche ai piedi, e cerco disperatamente una chiazza d'ombra ed un poco d'acqua per immergerci il corpo e sperare di sentirmi meglio.
Colpa di quella cosa che ho davanti.
Avete anche voi qualcosa che vi rende infelici?
Io amo il pane col burro e le alici,
le case verniciate di verde,
il pongo, la crostata alla marmellata,
ogni tipo di torta salata,
ogni prima puntata.
Amo la filosofia,
la teurgia,
Giordano Bruno,
tutti i numeri uno,
le linguine al pesto
e la cassiera che ogni mattina mi dà il resto.
Odio l'insalata,
le religioni,
le prigioni,
il censimento e questo mio mento pronunciato che mi fa sembrare un cartone animato.
Oggi mi sento così, arruffato e sconclusionato, afflitto e poi confortato, bianco e nero.
Domani mi taglierò anche questa cazzo di barba che mi fa sembrare un eremita.
Domani farò una corsa e correrò dall'alba all'imbrunire, voglio osservare il nitrire di un cavallo, il cantare di un gallo, il barrire di un elefante, il sibilare di un serpente.
Domani mi masturberò sotto la doccia per vedere se mi scarico.
Posso fare di tutto per provare a sentirmi meglio, ma se non affronto la cosa che ho davanti continueranno i miei pianti.
Sì, continuerò a stare male e me lo ha detto anche il mare, l'ho ascoltato dentro una conchiglia proprio prima di mettermi seduto e di fare uno starnuto.
Vedo il mio gatto là sul divano, è racchiuso in posizione fetale, gli faccio un fischio e mi guarda sorpreso, poi gli grido -Non mi sono arreso!
Gli vado vicino e lo prendo in collo.
Chiudo gli occhi, mi lascio tentennare dalle fusa del gatto e penso che oggi mi son sentito un vero pazzo, ma domani sarà un nuovo giorno e forse dopodomani starò qui a scrivere della mia vittoria.
É tuttavia possibile che sentiate dire in giro che ho perso un'altra volta.

sabato 31 dicembre 2011

"Ho sentito un fischio"

Disteso in questa stanza, mi rotolo divertito sull'erba bagnata da una pioggia appena caduta.
Tutto è così dolce ed amorevole, sono abbracciato dai fili d'erba, dai bianchi petali dei fiori cullato, da leggere mani accarezzato e da calde bocche baciato.
Mi muovo sopraffatto da una libido che mi fa tremare, lentamente, proprio come un lombrico nascosto tra l'erba, mi muovo e tremo d'assoluto piacere.
Poi un fischio mi fa alzare all'improvviso.
Barcollando mi affaccio alla finestra ma nella strada non vedo nessuno.
Cerco dappertutto con lo sguardo, mi sporgo, ma nulla.
Resto inebetito ad osservare alcune macchine parcheggiate a lisca di pesce due delle quali sono bianche una è nera, un'altra è verde e un'altra ancora è celeste. Guardo anche le finestre davanti a me, le persiane, i vasi senza fiori, alcune luci di Natale, lo spoglio tiglio alla fine della strada, le strisce pedonali che nessuno sta calpestando, i pomelli d'ottone del terzo portone alla mia sinistra e un cassonetto per l'immondizia che standosene lì immobile manifesta la sua abituale pigrizia.
Non si vede un'anima in tutta la via, un po' di nebbia cala lentamente dal cielo e penso che mi sono sbagliato.
Quel fischio è stata forse una mia illusione, il frutto della mia strana immaginazione.
Allora mi getto di schianto in quello che prima era un verde prato bagnato e adesso è un rosso deserto infuocato, un sole cocente m'abbronza il corpo che stranamente è già sudato, poi dal soffitto cade una strana bambagia d'un giallo fluorescente che m'avvolge il corpo e lo fa levitare orizzontalmente a mezz'aria anestetizzandolo completamente.
Sono incapace di sentirmi piedi e mani ed in aggiunta un bisbiglio incantatore mi porta in una strana, forse parallela, dimensione fino ad allora sconosciuta.
Vedo che dalla libreria alcuni libri sembrano cadere di schiena per poi aprirsi e con le loro ali prendere il volo verso Est, verso casa del Bonetti, verso il fiume, verso la Romania, verso la Cina, verso la stazione da dove oggi ho preso il treno per andare non mi ricordo bene dove.
Poi ecco ancora il fischio, chiaro, deciso, netto, s'infila nella stanza e nelle mie orecchie facendomi sobbalzare.
Cado improvvisamente sul pavimento che ora è un letto stracolmo di mandarini freddi ed arancioni, poi i mandarini aumentano continuamente e come un bambino in quei giochi del Luna Park nuoto verso la finestra e la apro.
La nebbia ha invaso tutto, non distinguo più il colore delle macchine, e non vedo più il tiglio, e non vedo più i pomelli d'ottone, e non vedo più nulla.
Cerco ma non trovo.
Allora inizio ad urlare ma non sento risposta, fischio pure io ma il tutto sembra essere ingoiato dalla nebbia.
Ululo e strillo, muovo le mani convulsamente per allontanare la nebbia e vedere se qualcosa o qualcuno sia sotto la mia finestra o più in là, ma non c'è un cazzo di nessuno.
Lascio la finestra aperta e vado verso il lavandino della cucina.
Tutto torna alla normalità, tutto è come dovrebbe essere.
In terra c'è il cotto ed i libri solo al loro posto, il frigorifero è proprio dov'era stamattina, l'albero adornato per il Natale ha le lucine con la loro solita intermittenza proprio come ieri e come l'altro ieri, sul soffitto non c'è nulla di particolare tranne qualche chiazza d'umido ingiallita.
Apro l'acqua del lavandino e ci metto sotto la testa, mi bagno le mani, il collo, bevo qualche sorso d'acqua marmata e sento che questa mi sta colando anche sulla schiena.
Una pentola se ne sta capovolta col culo rivolto all'iperuranio: è la pentola nella quale ho cotto la pasta.
Osservo la pentola dai manici sottili e vedo che questa osserva me, riflette la mia faccia allungandola un po' e smagrendola quasi facendola somigliare a quella dell'Urlo di Munch.
Sono comunque nitidi e riconoscibili i miei occhi che osservo e scruto curiosamente cercando di vedere qualcosa che fino ad allora non avevo veduto.
I miei occhi, marroni e senza particolari degni di nota, circondati da occhiaie, né belli né brutti, sono occhi di chi va cercando Dio dappertutto e che crede pure di sentirlo.

venerdì 25 novembre 2011

"Ambarabà ciccì coccò."

Soldi, soldi, pagare, pagare, tasse, aumenti, pagare, soldi, soldi, pagare.
Paga e zitto.
Porco di un cane ladro.
Sto zitto e pago.
Costa tanto tutto ed andrà ad aumentare tutto tanto.
Pago e sto zitto.
Stamani quella melensa della bancaria mi ha telefonato per dirmi che sono sotto.
-Infinite grazie, passerò in settimana da voi- le ho risposto facendo il sorpreso.
Come se non lo sapessi.
Per forza che sono sotto, ho dovuto mettere quattro nuove merdose gomme da neve ed ho speso un botto, poi le tasse universitarie, l'affitto di casa con l'aumento dell'Istat, le bollette, il veterinario, il dentista, il decoder e qualcosa dovrò pur mangiare. Poco, ma fatemi mangiare.
Sono pulito come il cesso della stazione e anche lì ho dovuto pagare per pisciare.
Oggi ho preso il treno per andare a Firenze: la macchina è ormai un lusso.
Guardiamo il lato positivo. Ho riscoperto il mezzo pubblico.
I capelli me li sono tagliati da solo e si vede, questo giubbino nero l'ho comprato da Stefan e si vede perché mi torna maledettamente male.
Non c'è soldi, c'è crisi.
Ho amici in depressione perché sono disoccupati, parenti che si logorano il fegato perché non sanno come  fare ad arrivare alla fine del mese ed oramai si privano di tutto.
Prendiamo ad esempio mio zio Luigi. Vedovo da ormai nove anni, il buon vecchio zio era abituato a farsi una sana scopata a casa della sua professionista di fiducia. Ora non può più permettersela.
Per lui è una tragedia e adesso appaga il suo desiderio con la mano mancina tenuta sotto il culo per una mezz'ora e tanta fantasia . Povero zio, mi sono commosso quando me l'ha detto.
La gente ha fame e batte i pugni su tavoli sempre meno imbanditi.
A tavola si mangia un po' di pane con l'olio e ci si piena bevendo tanta acqua del rubinetto.
Ambarabà ciccì coccò.
Le tre civette che prima se ne stavano beatamente sul comò pronte a farsi la figlia del dottore sono rimaste in due, la terza sta raschiando il fondo del barile alla ricerca di qualche centesimo per comprare qualche briciola di pane raffermo da dividere col resto del gruppo.
Si fanno forza le civette, Coccò mi ha confidato che sono vicini al perimento, e si vede.
Non c'è da fare i moralisti se qualcuna mostra la farfalla su cam4 per pochi euro o se c'è chi si prostituisce intellettualmente.
Soprattutto non c'è da storcere il naso se la dama dà un morso al suo ermellino ingoiando tutti peli per fare tappo e sentirsi piena.
Pagare, pagare, pagare, soldi, crisi, fame.
Faccio ironia ma la situazione è grave, se qualcuno di voi vuol piangere ho i fazzoletti profumati che mi hanno dato al bagno della stazione.
Io non piango, lo faccio solo quando ho la febbre.
Mi sfogo semplicemente scrivendo, cercando così di non pensare a ciò che ci sarà da pagare domani.
Soldi, soldi, pagare, fame, tasse, aumenti, pagare, soldi, soldi, pagare, fame.

martedì 11 ottobre 2011

"Albero."

Vorrei essere un albero, ma sono la pagina ingiallita di un libro caduto dietro una scaffalatura marcia, nella cantina di una biblioteca abbandonata.
Aria chiusa dentro una bottiglia nell'oceano, peli nel lavandino in una casa di campagna alla malora.
Luci in lontananza, alba e tramonto, un sospiro ed uno starnuto, un sorriso allo specchio, il detto e ridetto, l'acqua santa e la personificazione del demonio.
Sono una ragnatela che si dondola al vento, lo sbadiglio di un gatto, il pane raffermo, la muffa nell'androne, lo spazzolone da buttare, le maniche arricciate della camicia di un contadino canuto.
Sogni, speranze, illusioni, gratificazioni e delusioni.
Puzzo di morto e profumo di santità.
Anima racchiusa in piscio ed in sperma, sangue che scorre giù dal naso e bagna le mani.
Mi guardo le mani.
Sono un uomo.
Delusione che cammina a testa alta e si guarda attorno, che sfida la tempesta ed ama sentire la pioggia picchiare e sbattere sulla propria testa fino a disturbare quei pensieri talmente irrazionali da essere maledettamente tangibili.
L'inganno come unica soluzione.
La pace come utopia.
Capitoli da riempire con sudore di passione.
Eccomi come uomo, sono un cieco senza cane e bastone che cammina agitando le braccia per trovare un appiglio e non cadere.
La sigaretta ormai spenta mi cade dalla bocca, io non sogno nessuna rivolta, nessuna città da assediare, nessun colpevole da imputare.
Ho visto un albero laggiù, proprio alla fine della strada, credo che mi siederò sotto di esso e forse ci passerò la notte.
Gli alberi mi fanno stare bene, mi riportano al principio, asciugano le lacrime, danno conforto e poi fanno ripartire, lo fanno in silenzio.
Vorrei essere un albero.

giovedì 29 settembre 2011

"Radio."

Fuori piove ed i vetri di casa grondano.
Piove a vento.
Mi domanda il senso del mondo, della vita.
Io non sono in grado di dargli una risposta.
Lo guardo con interesse, osservo le sue mani paffute, i suoi capelli ricci, la sua bocca carnosa, i suoi occhi marroni.
Ricordo i suoi occhi pieni di lacrime e la forza che dimostrò nel trattenerle tutte.
Nella foresta calpestammo il dolore, ci pisciammo sopra, lo prendemmo a calci, ci sputammo sopra con la convinzione che così facendo se ne sarebbe andato.
Mi dice che per lui la vita è un gioco in cui noi siamo pedine spostate da un bimbo bendato.
Muovo la testa dall'alto verso il basso e non dico nulla.
Passo lui la pallina da tennis, è davanti a me disteso sul divano blu.
Mi passa nuovamente la pallina e con la mano sinistra mi gratto il collo.
Fuori non smette di piovere.
Ho osservato con interesse le sue innumerevoli trasformazioni, i suoi mutamenti, la sua evoluzione.
Ho goduto ogni sfumatura di quel che era e godo adesso quello che è aspettando con impazienza quel che sarà domani.
Del suo divenire uomo, io sono testimone.
Ci passiamo la pallina, la radio è al giusto volume, solo una luce è accesa, fuori piove ed io sono con mio fratello che è ormai un uomo.

mercoledì 6 luglio 2011

"Il gioco".

Vermiglio sangue scorre giù dal mio naso, passa sul mio petto e si ramifica fino a toccare terra.
Le mie gambe sono livide, lo sono le mie spalle, le mie braccia e la mia faccia.
Ho preso tante botte, bastonate, gomitate, schiaffi e sputi.
Sono indolenzito, ho dolore alle articolazioni, non ruoto bene il collo, ho due costole rotte, mi mancano cinque denti e ho il naso completamente spaccato.
Il sangue impregna del suo agrodolce olezzo il mio corpo esausto.
Questa sedia traballante mi sorregge con amore, la sento fredda sulla mia calda schiena.
È un freddo che mi ipnotizza e mi rende stranamente lucido.
Sorrido e sghignazzo: me ne infischio.
Gioisco e rido soddisfatto come se un fotografo stesse immortalando con interesse il mio torturato volto, come un pugile che alza il braccio sanguinoso dopo la prima agognata vittoria.
Rido perché è stata dura, ma ho vinto.
Sono sopravvissuto, chiamami veterano, superstite, o come meglio ti pare.
Certamente non ha finito, è sempre pronta a colpire quando meno te lo aspetti, mentre dormi o cammini per la strada spensierato.
Colpisce per prima per avere il vantaggio della sorpresa, non che sia malvagia, ti chiama semplicemente sul ring a combattere.
O forse lei è semplicemente una spettatrice, magari di quelle paganti.
Ti dice solo che è il tuo turno.
Poi, qualcosa mette alla prova il tuo corpo e la tua anima.
Forse, è semplicemente un gioco di resistenza.
Chiunque sia, aspetto volentieri altri pugni, altre spallate, pedate, gomitate e bastonate.
Questo corpo non lo guardo, allontano così il dolore, dai su che ti aspetto, non mi muovo sono qui.
Inizio a prenderci gusto, ti mostro la lingua in senso di sfida, il gioco mi piace.
Questo strano gioco che è la vita, mi piace.

lunedì 30 maggio 2011

"Il giardino."

Qui, c'è un profondo rispetto verso il tutto.
C'è rispetto per quest'ape che mi ronza attorno e che all'improvviso può bucarmi, verso il gallo che annaspa nel terreno indisturbato e che ogni mattino è incaricato di svegliarmi.
Rispetto il lombrico che fora la terra e la ossigena con le sue gallerie.
Rispetto la lucertola che mangia gli insetti e che a sua volta viene mangiata dal gatto.
Rispetto quella minuscola formica che, furtiva, mi ruba semi di prato appena piantato.
Osservo la vite che germoglia come lo fa il melograno.
Rispetto il gelsomino che, lentamente, si distende alla ricerca di qualcosa che non esiste: rispetto il non esserci della sua meta.
Fisso, incuriosito, la chioccia che cova le sue uova e le altre galline che che la disturbano goffamente.
Alla fine della strada, c'è dell'erba alta che si piega su se stessa per il troppo peso.
Alla mia sinistra, una pianta di lavanda sogna di fiorire e di intontirci tutti con la sua possente fragranza.
C'è rispetto verso il geranio fiorito, il rosmarino rinsecchito, le cavallette, i grilli, le margherite e l'eucalipto.
C'è ammirazione verso quel moscerino che, scattando a zig zag, attraversa distese infinite di campi e alte piante di ortica piegate dal caldo vento di fine Maggio.
Rispetto la menta, il timo, la maggiorana e la ragnatela che, lucida, unisce la nostra casa alla siepe appena potata.
Rispetto l'amarena.
Rispetto la sera, il sole che lentamente fa capolino dall'altra parte della terra ad illuminare un' altro giardino, ad illuminare il destino di una pianta malata che non guarirà solo se annaffiata ma forse, lo farà essendo amata.
Rispetto l'acqua che inumidisce la terra, il vento le nuvole e il fuoco.
Questo strano gioco di sentimenti e colori che mi rende parte del tutto.
Rispetto i miei occhi che mi permettono di osservare il mondo e questa strana mia testa che non riesce a concepirlo rotondo.
Rispetto le mie mani per aver coltivato, per aver zappato e rastrellato.
Se dici che questo non esiste, rispetto la mia immaginazione.
Felice della tua osservazione, non puoi togliermi l'emozione che provo nel guardare da vicino quella che definisco la vita per eccellenza, senza stupide infamie o inopportune speculazioni.
A questo punto non so chi ringraziare, se Dio, il caos, me stesso o non so chi.
Mi rilasso e mi lascio guidare come una piuma nell'oceano.
Ho la convinzione che la vita sia solamente un gioco di emozioni.
Disteso, osservo il cielo e piango con lui perché ne ho bisogno.
Cerco di non disturbare ma è proprio lasciandomi andare che diventa tangibile questo mio rispetto.

sabato 7 maggio 2011

"Liberata!"

Infiniti pensieri
diventano solide ossessioni.
Poi, le osservo mentre queste lentamente si appiattiscono e diventano fogli di carta.
Alzo il foglio e lo metto controluce.
Lo scruto e non vedo niente,
lo tocco ed è inconsistente.
Allora, con la matita
che rotea tra le mie dita,
voglio appuntare quello che percepisco dopo questa strana trasformazione.
Ma la matita è bianca e non si legge niente.
Mi metto dunque in ascolto della mia mente
perché la sento che, beata,
si gode la divina emozione
di essersi, finalmente, liberta.

martedì 22 marzo 2011

"Amico mio..."

Come stai, amico mio, ora che è primavera?
Lo senti che é più caldo anche alla sera?
Il Cuculo ha cantato,
il fiore è sbocciato..
Io, come sempre, costruisco castelli di ambizioni,
con merletti di utopiche illusioni.
Come un pazzo mi distendo nudo sulla terra arata
a contemplare disincantato la giornata.
Un fiore, tenacemente, apre i suoi petali in ogni direzione.
Il sole fa brillare il prato e sembra così pieno d'amore.
Il vento mi chiude gli occhi e immagino di volare.
Amico mio... lo senti anche tu il mare?
Amico, non riesco ad avere una visione disincantata del mondo.
C'è un qualcosa di profondo,
c'è un qualcosa di potente,
un qualcosa d'infinito.
Amico mio, parliamo dell'infinito.
Parliamo del potente.
Amico mio..
Parliamo di quello che sento vicino a me in questo strano momento di follia.
Amico mio.. parliamo di Dio.

domenica 13 marzo 2011

"L'idea".

L'idea di ciò che vorremmo essere, è inferiore a ciò che non sapendo di essere siamo.

martedì 8 marzo 2011

"Pensieri folli".

S'incatenano alla mente pensieri folli, senza i quali spesso mi accorgo di non poter vivere.
Eppure le mie mani si portano sulla testa e freneticamente iniziano a grattarla, come per ripulirla e cacciare via tali pensieri.
Grattano e provano a strapparli via ma non ci riescono, non hanno la forza di penetrare.
Fortunatamente non ci riescono...
I pensieri folli sono vita.

sabato 26 febbraio 2011

"Vivere".

In realtà, il nostro vivere, è un vano sforzo di raggiungere un'utopia chiamata felicità.

giovedì 24 febbraio 2011

"Confusione".




Per fortuna c'è il mio albero solitario.
C'è il mio silenzio assoluto, il mio tramonto e la mia alba.
Nella mia testa.