martedì 28 giugno 2011

"La scusa"

Una filo di bava cadeva dalla mia bocca e poggiava sul lenzuolo celeste, proprio in quel punto aveva formato una macchia di colore blu.
Stamani, dormivo beatamente tra le coperte arruffate.
Puntuale, alle 10.10, è suonata la sveglia.
L'ho spenta sbattendoci sopra la mano con l'irruenza di chi non accetta essere disturbato nel sonno.
Poi, mi sono riaddormentato.
Mi sono alzato alle 11, in ritardo, come sempre.
Mi sono lavato i denti, sciacquato il viso, vestito rapidamente e poi ho sceso le scale di furia rischiando di cadere ad ogni gradino.
Ho tirato fuori la bicicletta dall'androne.
Ho pensato che il capo, prima o poi, mi avrebbe licenziato per tutti i miei maledetti ritardi.
Ho svoltato in via dei Macelli, ho attraversato il solito stretto ponte sotto il quale scorre un filo d'acqua tra l'erba incolta, un gatto nero mi ha attraversato la strada.
Se non fossi stato in ritardo, forse, mi sarei fermato, ma lo ero e non ho dato importanza alla scaramanzia.
Non potevo incrementare maggiormente il mio ritardo.
Ho proseguito pedalando velocemente e mangiando anche qualche moscerino.
Arrivato in fondo alla strada, ho svoltato per un vicolo stretto e percorribile solo in un senso e ho visto una colonna di macchine con le quattro frecce accese, la prima cosa che ho pensato è stata: incidente, grave incidente.
Mi sono avvicinato al luogo dove credevo di trovare o una macchina tamponata o un passante buttato a terra.
Ma nulla di tutto ciò, fortunatamente, si è mostrato ai miei occhi.
Il primo della fila, con la sua Audi nuova di zecca, l'ho riconosciuto subito, era il mio capo.
Stava discutendo animatamente con un donna con l'aria da professoressa.
Ho domandato cosa fosse successo e il perché si fosse fermato formando una coda di più di dieci macchine dietro a sé.
“Un gatto nero ha attraversato la strada, io non passo.”
Mi ha risposto balbettando, visibilmente terrorizzato dall'accaduto.
Come se fosse stato derubato o pestato a sangue, se ne stava impietrito nella sua Audi lucida e lucente.
Aveva in dosso una camicia bianca di lino, pantaloni beige, scarpe di Prada e il suo solito Rolex al polso destro.
Poi ha aggiunto: “non azzardarti a passare con quella bicicletta, porti la maledizione dei gatti neri al ristorante, se passi ti licenzio”.
La donna, che sicuramente era una professoressa, cercava di spiegare al mio capo che i gatti neri non sono portatori di sfortune o maledizioni, ma lui, non si muoveva e non dava ascolto a quella bionda donna dal corpo snello e giovanile.
La prof, perchè secondo me lo era, con l'aria un pò isterica come tutte le professoresse, agitava le mani imprecandolo di procedere.
“Deve muoversi, dobbiamo lavorare, non può fermare il traffico così!”
Non era possibile superare quell'Audi, enorme e invadente, occupava tutta la corsia.
Un tipo abbronzato e con dei Ray-Ban stile aviatore, stava provando a superarlo con la sua Smart passando dal marciapiede ma, anche lui, nonostante la sua auto fosse minuscola, non è riuscito a farcela.
Ho pensato che se io avessi attraversato la strada, la maledizione ricevuta precedentemente sul ponte si sarebbe annullata.
Sono sceso dalla bici e ho attraversato la linea che, presumibilmente, il gatto aveva tracciato al suo passaggio.
“Non vale! Non vale!” Ha esclamato il capo “le persone a piedi sono immuni dalla maledizione, e non passarci con la bici che ti licenzio!”.
Nel frattempo, la coda di macchine si stava allungando a dismisura e mi aspettavo che qualcuno chiamasse la polizia da un momento all'altro.
Un uomo brizzolato è sceso dalla sua Fiat Panda e ha esclamato: “ Ha ragione quel tizio laggiù, i gatti neri portano male! Sono streghe travestite!”
Mi gustavo quell'assurda scena che vedeva il mio capo con le sue paranoie al centro della questione. La prof, era completamente fuori di sé, alcune persone erano scese dalle loro auto e avevano fatto gruppetto: sentivo che discutevano del probabile passaggio di Cassano dal Milan alla Fiorentina.
Ho sentito un fischio, mi sono voltato e ho visto il capo che mi faceva cenno di raggiungerlo.
Ho pedalato, sono stato distratto da una macchina completamente polverosa che esprimeva il suo disappunto per il lerciume che l'avvolgeva, sul vetro posteriore infatti c'era scritto: “lavami bastardo”, ho sorriso.
Ho raggiunto il capo e mi ha detto: “Lascia la bici nella mia macchia e vai a lavorare, vi raggiungo appena risolvo questa situazione. Dì agli altri che ho avuto un contrattempo, non dirgli il vero motivo del ritardo.”
Ho aperto il bagagliaio di quell'enorme Audi e la mia bicicletta è entrata precisa.
Ora, sono le quattro, mentre mangio questo fresco Liuk al limone e la stecca di liquirizia mi imbratta le mani, del capo non c'è traccia.
Forse, è ancora là nella stetta viuzza a convincere il mondo che i gatti neri portano male.
Sorrido nuovamente, sono felice: ho trovato una scusa per i miei ritardi.